Prima o poi doveva succedere: Frank Ocean esce da dietro le quinte e dopo qualche collaborazione azzeccata (Jay Z, Kanye West) e qualcun’altra molto meno (Justin Bibier) decide di mettersi in proprio dando alla luce la sua prima fatica, che a conti fatti coglie nel segno. Figlio della cocente delusione patita dall’autore (che ha fatto outing giusto pochi giorni fa in un’intervista a The Guardian: “Tifo Olanda da quando son piccolo”) dopo i recenti campionati europei di calcio, Channel Orange è un disco in tinta unita, senza l’ombra di una sfumatura, ma che, nonostante questo, si presenta come un lavoro dalle mille sfaccettature ben definite. A un primo ascolto infatti lascia subito un retrogusto dolce-amaro eppure inconfondibilmente vivace come un bicchiere di Aperol con due cubetti di ghiaccio prima di cena. A un’analisi più approfondita però vengono ben presto a galla i suoi beat lenti e dilatati, che si assestano come lunghezza d’onda, tra i 585 e i 620 nanometri e rivelano una produzione curata e sana, prevalentemente a base di vitamina C, che allo stesso tempo non disdegna passaggi meditativi di scuola Hare Krishna, espressi a livello sonoro tramite codici di non facile interpretazione (RGB: 255, 128, 0 / CMYK: 0, 50, 100, 0). Forse proprio grazie a queste peculiarità, Channel Orange riesce a ritagliarsi un proprio e ben preciso spazio nello spettro del visibile, andando a occupare un anfratto lasciato libero dai tentativi di qualche illustre predecessore. Sì, perchè Channel Orange altro non è che il disco che gli Weezer non son stati mai capaci di fare: e pensare che (col senno di poi) era così facile! Sarebbe bastato mescolare bene due dei loro pezzi da novanta: il Red Album e il Green Album.
