Di quelle cose che uno esce dal cinema e gli vien da pensare che anche Frank Miller, caro Frank Miller, non è mica obbligo che tu ceda i diritti di tutti i tuoi fumetti per farne film. Che insomma, caro Frank Miller, con Sin City ti è andata bene, ma mica sempre è domenica. Soprattutto se metti le cose in mano al regista de L’Alba dei Morti Viventi. Perchè, caro Frank Miller, poi finisce che è un attimo a ritrovarsi fra le mani un prodotto sì ben confezionato dalle magie della post-produzione, gli incantesimi del blu-screen e tutte quelle cose lì, che però sembra una rivisitazione in chiave serioso-melodrammatica (e quindi a tratti ancora più esilarante) del ben più fedele (almeno storicamente parlando) Fascisti su Marte di Guzzanti (ed in effetti il grido, fin troppo abusato nelle due ore di proiezione spartaaani!!! assomiglia molto all’i-ttaliani! di mussoliniana memoria).
E così ci ritroviamo in una Grecia incrociata con la terra di mezzo del Signore degli Anelli (non a caso il traditore Efialte è in tutto e per tutto identico a Gollum) dove all’occorrenza si scatenano tormente di neve (tipico clima mediterraneo) in cui sbucano lupi incrociati con orsi bruni in modo che poi par quasi normale che l’oracolo non sia altro che una discreta fanciulla ubriaca, con i capelli rossicci e due capezzoli così intirizziti che se fosse sull’autostrada dovrebbe esporre il cartello carico sporgente. Location questa che vede il buon Leonida decidere di andare ad affrontare l’esercito persiano (leggi novanta-centomila venditori di tappeti) alla guida si soli trecento invasati cocainomani come lui.
Ma dicevamo i persiani: eh, i persiani.
È qui che il film dà il meglio di sè.
Sotto la guida del grande re Serse (uno che io lo vedrei bene a fare le televendite degli amuleti su ToscanaTV), somigliante come nessuno a Dalshim (il personaggio di Street Fighter che ha infestato tutti gli incubi di noi ragazzini anni’80 col cervello bruciato dalle sale giochi) e che parla con la voce di Amanda Lear, si scatena infatti una masnada di casi umani che più carnascialesca non si può, in cui spiccano, su tutti, le armate speciali: i cosiddetti Immortali, che sembrano usciti ora ora dal carnevale di Venezia per raggiungere di corsa il G8 più vicino e divertirsi, tutti vesititi di nero e a viso coperto come i Black-Bloc, a lanciare molotov a casaccio. E poi rinoceronti da corsa, elefanti da passeggio, l’uomo forzuto che spezza le catene (Mastrolindo con lo scorbuto, per capirsi) e un personaggio capolavoro: il boia che è uguale a Baget Bozzo, ma al posto delle braccia c’ha due chele di granchio (da cui l’immediato soprannome di Capitan Findus). Insomma, sembra sul serio di essere al circo, manca solo Moira Orfei, che però risulterebbe troppo poco appariscente, in una situazione del genere.
La trama è semplice: quattro-cinquecento litri di sangue versato, un po’ di teste che volano, la regina che finisce nello scandalo di Vallettopoli ma ne esce pulita dopo essere comparsa a riferire in parlamento come aveva chiesto l’opposizione e il nostro caro Leonida che muore felice in versione San Sebastiano.
Rimane alla fine solo il retrogusto di una strana coincidenza, ovvero che in un film obiettivamente un po’ fascistello come questo, la parola più frequente risulti l’aggettivo Prodi.